martedì 15 dicembre 2015

Corano, Vangelo e Bibbia: una lunga storia di pregiudizi e incomprensioni

Dialogate con belle maniere con la gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite [loro]: “Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo”. Corano 29, 46

Leggo, sulla bacheca fb di un amico, l'opinione di un tale che sostiene che la religione musulmana dovrebbe esser posta fuori legge secondo l'art. 8 della Costituzione e l'art. 414 del Codice Penale. Secondo costui addirittura si dovrebbe vietare la preghiera islamica e dovrebbero chiudersi le moschee esistenti. Dal momento che simili opinioni ormai circolano sulla rete avvelenando la convivenza civile con le comunità musulmane vale la pena analizzare questo pensiero.
Anzitutto, l'art. 8 della Costituzione stabilisce la libertà di tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica purché esse "non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano". L'art. 414 del Codice Penale invece riguarda l'istigazione a delinquere. Evidentemente quel tale deve ritenere che la religione musulmana istighi a delinquere. A riprova di ciò, egli cita due versetti del Corano, sura 5 versetti 32 e 33. Il versetto 33 effettivamente suona un po' truce,

"La ricompensa di coloro che fanno la guerra a Dio e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l'ignominia che li toccherà in questa vita; nell'altra vita avranno castigo immenso". 

Il versetto 32, al contrario, stabilisce che "chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera". In altri termini il versetto 33 stabilisce la pena di morte per chi bestemmia ed il 32 pone dei limiti: "attenzione però, mandare a morte un innocente è una grave colpa", ponendo così un grosso ostacolo all'applicabilità del versetto 33. C'è da rimanere incantati dalla sapienza levantina racchiusa nel Corano: ogni qual volta venga stabilito un principio troppo duro, si provvede a porre precisi limiti che ne rendano difficile l'applicazione pratica. Una sottigliezza questa che apparentemente sfugge al nostro interlocutore islamofobo. Ci si potrebbe chiedere perché il Corano stabilisca leggi così dure da dover poi stabilire regole di applicazione così tortuose da minarne l'efficacia. Chi possiede una discreta cultura biblica conosce la risposta che, indubbiamente, per il nostro amico islamofobo suonerà come una beffa. In realtà la norma rigida proviene dall'Antico Testamento (Levitico, 16):

"Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo del paese, se ha bestemmiato il nome del Signore, sarà messo a morte". 

Come la mette allora il nostro detrattore dell'Islam? Il Corano lascia almeno ai bestemmiatori l'alternativa dell'esilio, la Bibbia non dà scampo. In virtù dello stesso ragionamento, egli dovrebbe chiedere la messa al bando anche dei cristiani e, soprattutto, degli ebrei. I cristiani infatti possono trovare un ragionamento simile a quello del versetto 32 della sura 5 nel Vangelo di Luca (12,10) dove si dice che "Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato": forse così i bestemmiatori potrebbero sfruttare le sottigliezze della dottrina trinitaria per evitare la pena capitale. 

In realtà, le prescrizioni bibliche sono sempre le più drastiche, la citata punizione per i bestemmiatori e la lapidazione per gli adulteri risalgono a due dei libri più antichi dell'Antico Testamento: il Levitico e l'Esodo, risalenti a circa 1200-1300 anni prima di Cristo: si prevedono pene drastiche perché nelle condizioni della fuga dall'Egitto è difficile immaginare pene detentive. Successivamente, anche presso gli ebrei, la durezza della legge si attenua e persino la condanna per l'adulterio con Betsabea non impedisce di giudicare Davide un grande re. Tuttavia, nello stesso tempo periodo storico, 500 anni prima di Cristo,  il Deuteronomio ribadisce formalmente la durezza della legge mosaica, mentre nella società va sviluppandosi l'idea di un dio misericordioso e quindi capace di perdonare anche i peccati più gravi. In qualche modo la tradizione ebraica, come poi quella cristiana e quella musulmana - tutte e tre le religioni infatti considerano l'Antico Testamento un libro sacro - rimangono intrappolate dall'eccessiva durezza della legge mosaica: essa non può essere smentita perché parola di dio ma va tuttavia mitigata con il concetto di misericordia che si sviluppa presso i cristiani e poi presso i musulmani.

Sulla pena per gli adulteri mi piace citare la vecchia legge mosaica, "Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adùltero e l'adùltera dovranno esser messi a morte." (Levitico 20, 10), la pena di morte, secondo la tradizione ebraica avveniva per lapidazione. La maniera in cui la prescrizione mosaica viene elusa dai cristiani è ben nota:  in Giovanni 10, 4-7 leggiamo  "«Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.  Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.  E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»".  Più complicata è la soluzione proposta dal Corano: da una parte viene ribadita la legge mosaica, specificando però che per pronunciare la condanna occorrono quattro testimoni concordi (Corano 4, 15) "Se le vostre donne avranno commesso azioni infami (fornicazione o adulterio) portate contro di loro quattro testimoni dei vostri. E se essi testimonieranno, confinate quelle donne in una casa finché non sopraggiunga la morte o Dio apra loro una via d'uscita.". Però occorre far attenzione, sempre secondo il Corano (24, 4) "coloro che accusano le donne oneste senza produrre quattro testimoni, siano fustigati con ottanta colpi di frusta e non sia mai più accettata la loro testimonianza. Essi sono i corruttori", la stessa pena si applica agli spergiuri, cosa che avviene se i quattro testimoni necessari a provare l'accusa si contraddicono.

Noterete che non ho adoperato la parola Allah, traducendo ogni volta con dio. In effetti i cristiani di lingua araba si rivolgono a dio chiamandolo Allah, e questo nome viene dalla stessa radice dell'ebraico Eloim, dio, appunto. Lasciare invariato nella traduzione italiana Allah è infatti ridicolo dal punto di vista filologico, come lasciare Dieu o God in un testo tradotto dal francese o dall'inglese, ma è soprattutto una mistificazione, suggerendoci implicitamente che questo Allah sia una persona diversa dal "nostro" dio, un po' come Zeus o Odino. Non è così, non soltanto perché i musulmani considerano l'Antico Testamento e i Vangeli come libri sacri, ma soprattutto perché così si afferma nel Corano, non a caso ho aperto con una citazione del brano rilevante. Da un punto di vista teologico i musulmani possono essere considerati cristiani monofisisti, eretici, se volete, ma cristiani.

Per chiudere, ci tengo a dire che personalmente non sono religioso e sono sempre stato convinto che lo Stato debba essere laico e indipendente da ogni legge divina. La caratteristica delle leggi umane è che esse possono essere modificate se si rivelano errate, lo stesso pare che non sia possibile con le leggi divine. Rifarsi, come si sarebbe voluto fare nella poi abortita Costituzione Europea, a "radici giudaico-cristiane" sarebbe stato equivalente a stabilire come principio fondante dell'Europa proprio quell'incredibilmente dura legge mosaica, aggiungendo però l'aggravante dell'esclusione dell'Islam, mentre questo fa parte a pieno titolo della stessa tradizione.