sabato 1 agosto 2015

NON E' COMPLOTTISMO: E' LOTTA DI CLASSE

Faccio sempre molta attenzione alle dichiarazioni del senatore Mario Monti, cui riconosco non comuni capacità di chiarezza e fors'anche di preveggenza. In un'intervista a Rai3 (Agorà, 28 luglio 2015, dal minuto 50 in poi), Monti ha dichiarato che con "la casa di proprietà, c’è meno mobilità nel paese, il mercato del lavoro è meno mobile". Non soltanto, ma gli italiani investono meno sull'educazione dei propri figli (io credevo che questo fosse soprattutto un compito dello stato) e vivono troppo a lungo con i genitori.

Il senso di quello che dice Monti è chiaro ed è perfettamente coerente con l'idea che della società hanno gli anarcocapitalisti come lui. I lavoratori non devono avere casa, non devono avere diritti e devono essere indebitati fino al collo: soltanto in queste condizioni accetteranno di spostarsi ove più convenga ai loro padroni e dimenticheranno persino che quando non serviranno più arriverà puntuale la lettera di licenziamento. Il possesso di una casa, il diritto alla salute e all'istruzione sono, non casualmente, ostacoli per il disegno anarcoliberista, che prevede la massima libertà di circolazione per i capitali e per la manodopera. Gli Stati stessi sono un ostacolo, e devono essere, se non aboliti, almeno sterilizzati, "cedendo quote di sovranità agli organismi sovranazionali" (qui cito a memoria un discorso tenuto dallo stesso Monti), gli organismi sovranazionali sono gli stessi banchieri. La globalizzazione, l'IMF (Fondo Monetario Internazionale) e il WTO (World Trade Organization), e da noi, l'UE e l'euro sono gli strumenti del loro dominio.

Il mercato libero, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, si autoregola soltanto imponendo salari più bassi e condizioni di vita peggiori per tutti. I pochi ricchi diventano sempre più ricchi e i molti poveri sempre più poveri. Paradossalmente, l'ideologia capitalistica che sta alla base del liberismo e del Monti-pensiero continua a piacere anche in molti ambienti "di sinistra". In fondo del libertarianismo esistono versioni di destra e di sinistra. Liberi di amarsi, liberi di far soldi. Entrare la domenica sera in un centro commerciale per acquistare un i-phone con la finanziaria ci fa sentire più liberi. Ci appaiono lontani e tristi quegli anni in cui i negozi restavano chiusi la domenica e, per acquistare un gadget tecnologico, si doveva aspettare di mettere da parte i soldi. Oggi basta pensare all'oggetto del desiderio ed entrare nel negozio per portarselo a casa: il trionfo della libertà individuale, per alcuni. Meglio non pensare che il commesso che ci ha venduto l'oggetto è uno stagista che lavora 50 ore la settimana per 800 euro al mese. Meglio non pensare che il commesso la domenica non può andare al mare con la famiglia, e neppure gli altri giorni: lui è libero il martedì, la moglie il mercoledì, sempre che non ci siano colleghi malati da sostituire. Un tempo bastava che lavorasse uno solo in una famiglia, oggi lavorando in due ce la si fa a stento e soltanto perché c'è la casa che i nostri genitori ci hanno lasciato in eredità. Fintanto che si lavora in due, e con la casa di papà, ce la si può anche fare a comprare cibo scadente al discount col poco che resta dopo aver pagato le rate della finanziaria. Ma basta un nonnulla, è la crisi, si viene licenziati, le banche si prendono la casa del povero papà e... noi saremo più disponibili alla mobilità. Abbiamo creduto che lavorare in due in una famiglia rendesse le donne più libere, perché continuiamo a non voler contare le coppie di separati in casa obbligati ad una difficile convivenza proprio perché non possono permettersi il lusso di una effettiva separazione? Perché non vogliamo capire a cosa si è ridotta la nostra convivenza se io oggi lavoro la mattina e lei la sera e, a stento, riusciamo a condividere in orari differenti lo stesso schermo televisivo full HD 3D?

Io sono tra quelli che hanno gioito, povero illuso, quando il trattato di Maastricht stabilì la libera circolazione dei cittadini dell'Unione Europea. Lavoravo in Inghilterra, a Bristol e, da un giorno all'altro, non ho più avuto bisogno di un'assicurazione sanitaria privata: d'allora in avanti per me avrebbe pagato il servizio sanitario nazionale, finalmente sarei stato trattato come un cittadino inglese. Poi è passato del tempo e mi sono accorto che il servizio sanitario pagava sempre meno, che le liste di attesa si allungavano, la qualità dell'assistenza peggiorava, i ticket erano sempre più salati e cresceva il numero di quanti non potevano più permettersi le cure, in Inghilterra come in Italia.

Ho sempre avuto in odio il razzismo, sono di quella generazione cresciuta leggendo il "Diario di Anna Frank" e "Ragazzo negro". Come avrei potuto credere che qualcosa di infido si nascondesse dietro l'apertura delle frontiere all'immigrazione? Venivano dai paesi dell'Africa per lavorare da noi, venivano dall'Europa orientale per accudire le nostre vecchie madri. Un'opportunità per loro, come per noi. Ricordavo il racconto di mio nonno che aveva messo su famiglia con i pochi dollari sudati in una fabbrica di sigari di Philadelphia. E quando ho visto gli immigrati accontentarsi di salari sempre più bassi, di condizioni di vita sempre peggiori, ho pensato di potermi consolare, in fondo mio nonno doveva accontentarsi di guadagnare meno di uno yankee e anche per lui era stata dura in America. Poi, quando finalmente ho capito cosa stava accadendo, i salari erano già bassi per tutti, i diritti non c'erano più per nessuno.

Globalizzazione, a me quella parola non è mai piaciuta, legato come sono sempre stato alla mia insularità. Siciliano e cittadino del mondo. Un tempo mi piaceva scherzare e dire di essere bilingue: la mia prima lingua era il siciliano e la seconda l'inglese. Da siciliano e cittadino del mondo che non capiva perché l'essere italiano avrebbe dovuto preferirsi all'esser siciliano, non capivo neppure perché essere europeo avrebbe dovuto costituire un miglioramento. Mi piaceva e mi piace sempre incontrare gente diversa, confrontarmi con culture diverse. Ho seduto fumando con il capofamiglia in una capanna di fango Masai, c'erano due stanze, una per gli uomini ed una per gli animali. Io parlavo inglese, la mia guida traduceva in swahili e uno dei figli del mio ospite in Masai, mentre sul focolare cuoceva una povera zuppa di banane verdi. Se non l'avete provato, non capirete cosa vuol dire cercare di intendersi a tutti i costi. Ed alla fine ci riuscimmo, eravamo tutti sorridenti e ci abbracciavamo. Io credevo che il mondo multietnico e multiculturale cui aspiravamo in quei maledetti anni Novanta fosse qualcosa come fumare dalla stessa pipa con il vecchio Masai, sorridere e stringersi la mano. Purtroppo, invece, la sola cultura unificante che vedo diffondersi è quella delle serie televisive e dei reality show. Cristiani, musulmani, buddisti, atei e induisti guardiamo la stessa TV, compriamo gli stessi smartphone, miracolo del mercato globale. La comprensione reciproca è arrivata al punto in cui il terrorismo "islamico" viene ricambiato con i bombardieri europei e americani. E nessuno che si chieda se l'aver bombardato la Libia del cattivo Gheddafi abbia qualcosa a che vedere con le imprese del sedicente Califfato islamico. Noi credevamo di esportare il benessere nel Terzo Mondo, purtroppo ne abbiamo importato la fame.

Fui felice, nel 1979, di votare per il primo Parlamento europeo. Avevo studiato di un Parlamento in cui erano risuonate le tre magiche parole: libertà, uguaglianza e fraternità, sapevo dalle narrazioni di mio padre come quando c'è una dittatura non si vota e mi aspettavo che quel nuovo parlamento potesse aggiungere altre parole magiche come progresso, diritti, tolleranza e prosperità. Anche se non mi piaceva tanto che fosse un parlamento soltanto europeo, da quando ero bambino sapevo che le elezioni sono sempre una buona cosa. E' il popolo che decide, così mi dicevano. In effetti una bella parola nuova venne fuori, fu Erasmus e permise a tanti giovani come me di viaggiare per studiare, di incontrare coetanei di altri Paesi, di imparare a confrontarsi con sistemi, mentalità diverse. In Inghilterra ammirai la puntualità delle poste e dei treni, il rispetto per il lavoro, per le strade e i prati, quei College belli come cattedrali, amai gli inglesi quando dicevano che grazie alle borse di studio il figlio di un bottegaio era diventato Isaac Newton, quando dicevano che le tasse sui libri e la cultura erano immorali. Al mio ritorno in Italia avrei voluto portare con me un pezzo di quell'Inghilterra adorabilmente moralista nel mio posto di lavoro. Non soltanto questo non fu possibile, ma ritornando in Inghilterra negli anni successivi mi è capitato di vedere lattine abbandonate sui marciapiedi della metro. E intanto l'Europa chiedeva agli inglesi di tassare i libri e agli italiani di distruggere le arance e il latte. Ricordate le arance sotto i cingoli dei trattori? L'Europa chiedeva. Dopo Erasmus nessuna parola magica è venuta dall'Europa e, delle tre parole della Rivoluzione francese, sopravvive oggi soltanto libertà, mentre ci allontaniamo sempre più dalla fratellanza e la distribuzione della ricchezza o il godimento di diritti diventano sempre più ineguali.


Ho scritto sopra degli anarcocapitalisti, non voglio essere frainteso. L'anarco-capitalismo è una dottrina politica prima che economica. Una religione laica fondata sul libero mercato, una versione moderna dell'homo homini lupus, e sui dogmi accessori dell'alleggerimento dello Stato e delle privatizzazioni. Non sorprende che persone con interessi simili si alleino e agiscano più o meno di concerto. I capitalisti di tutto il mondo preferiscono spostare la produzione dai paesi d'origine, dove i lavoratori ancora godono di salari e tutele relativamente elevati, verso il Terzo Mondo dove i lavoratori sono assai meno pagati e garantiti. E' logico quindi che i capitalisti si alleino tra loro. Hanno tutto da guadagnare dalla globalizzazione e dalla distruzione degli stati nazionali, i fatti inequivocabilmente dicono che si sono impadroniti, con mezzi in gran parte leciti, del controllo dei centri nevralgici del potere e dell'informazione. Non c'è alcun bisogno di pensare a "complotti", è sufficiente attenersi al vecchio metodo materialista per comprenderlo. Non è altrettanto evidente, invece, perché non riesca a farsi strada l'idea che ad un nemico così potente e coalizzato si debba opporre una coalizione sociale più ampia possibile e disposta a dare battaglia su tutti i temi importanti della globalizzazione. La sola spiegazione che riesco a darmi è la diffusione tra gli intellettuali di una vera e propria subalternità culturale rispetto alle varie declinazioni del tema della libertà.