sabato 24 ottobre 2015

La cannabis e le mille risorse della mafia

Cannabis sativa

E' all'esame in Parlamento una proposta di legge per la liberalizzazione della cannabis [1], voluta inizialmente dal M5S e poi firmata da 218 parlamentari di tutti gli schieramenti politici. E' una buona proposta: riconosce a chiunque il diritto di coltivare in casa fino a cinque piantine, per uso personale. La proposta non prevede alcuna tassa e, se fosse approvata, assesterebbe un colpo formidabile alla mafia, rendendo non più lucrativo lo spaccio. Il principale ostacolo all'approvazione è stato finora il fiume di decreti "urgenti" proposti dal governo Renzi che, intasando il parlamento, hanno ritardato l'iter del disegno di legge. Adesso, tuttavia, si profila un nuovo, più subdolo, ostacolo.
Una campagna giornalistica, orchestrata dal giornale "la Repubblica", suggerisce che, tassando la cannabis, i proventi potrebbero essere utilizzati per finanziare lo stato e gli enti locali ed i buchi neri costituiti dai rispettivi debiti [2]. Viene allo scopo utilizzato uno studio pubblicato da due docenti dell'Università di Messina, Pietro David​ e Ferdinando Ofria[3], che stimano il possibile gettito fiscale in una cifra compresa tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. Tanto per capire, si tratterebbe, in media, di oltre 100 euro per ogni cittadino italiano, compresi neonati e anziani nelle case di riposo. Probabilmente poi, il "patto di stabilità" obbligherebbe gli enti locali più indebitati ad adottare le aliquote più elevate. A prendere per buone le cifre di David e Ofria, quanto dovrebbe sborsare un consumatore siciliano di cannabis per coltivarsi le sue cinque piantine? Mille euro l'anno? Ce n'è abbastanza per alimentare un mercato grigio, rendendo nuovamente conveniente per la mafia l'affare dello spaccio.
Oggi lo Stato italiano e la farmacopea ufficiale riconoscono la validità dell'uso terapeutico della cannabis [4], particolarmente utile nella terapia del dolore in gravi patologie, soprattutto oncologiche. Oggi purtroppo questi malati trovano grandi difficoltà e devono affrontare spese elevate per approvvigionarsi del farmaco[5]. Liberalizzare la cannabis è anche un modo per alleviare le sofferenze di questi cittadini meno fortunati.

[1] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/939417/index.html?aj=no
[2] http://www.repubblica.it/cronaca/2015/10/24/news/cannabis_di_stato_otto_miliardi_di_euro_il_ricavo_di_un_anno-125775906/
[3] http://www.lavoce.info/archives/36435/droghe-leggere-la-legalizzazione-e-un-buon-affare/
[4] http://www.ilpost.it/2014/03/08/cannabis-marijuana-terapeutica-italia/
[5] http://www.fondazioneveronesi.it/articoli/lesperto-risponde/cannabis-scopo-terapeutico-quando-si-puo-utilizzare

giovedì 15 ottobre 2015

Allarme rosso, governo ladro!

Frana di Saponara, novembre 2011, 3 morti.

Oggi non sono andato al lavoro. La Protezione Civile ha proclamato l'allarme rosso per "rischio idrogeologico", il rettore ha chiuso la mia università, il sindaco di Villafranca Tirrena, il paese in cui vivo, ha chiuso le scuole e ha informato i cittadini per telefono, con un nastro registrato. La strada che avrei dovuto percorrere per fare lezione, la statale 113, è tutta costellata di divieti di transito "in caso di avverse condizioni meteo", molte altre strade qui intorno recano lo stesso cartello. I cartelli sono apparsi dopo l'esondazione del torrente Saponara, qui vicino, e dopo la frana che ha fatto tre vittime, tre anni fa. Se viaggi, lo fai a tuo rischio e pericolo.

Il viadotto Ritiro, dichiarato pericolante, e gli svincoli di Giostra (A20), incombono su un popoloso quartiere di Messina. 

Dal 2012, i limiti di velocità e il restringimento della carreggiata sulla A 20 causano ore di coda ai pendolari messinesi.
La pioggia c'è stata, ma niente di che. In montagna, però, ha piovuto di più e, si sa, i torrenti in piena possono esondare: a valle sono tutti tombati e lungo il corso si scorgono detriti di ogni genere, frigoriferi e televisori compresi. Dalle mie parti oggi non ci sono state frane, ma ieri a Ribera di Agrigento c'è stato un disastro, è franata la strada statale a Polizzi Generosa, pochi giorni fa era franata l'autostrada Messina Catania e ieri sera, tornando a casa dal lavoro, ho dovuto evitare qualche ramo sulla carreggiata. E' strano, ma non chiudono i centri commerciali, non chiudono le discoteche, non chiudono i negozi, sembra che le ordinanze dei sindaci non si applichino a queste "attività produttive". Evidentemente, la scuola per i bambini e le mie lezioni di fisica all'università per i futuri ingegneri non sono considerate attività produttive. In Sicilia, ormai, il numero delle strade interrotte sta per superare quello delle strade transitabili. Ogni pioggia autunnale potrebbe tramutarsi in tragedia e in molte frazioni si rischia di rimanere intrappolati, senza vie di fuga. Il viadotto Ritiro dell'autostrada A20 Messina-Palermo è dichiarato pericolante dal 2012. Ma si continua a transitare, a velocità ridotta e su una sola carreggiata, perché manca la viabilità alternativa.

Le carrozze dell'espresso 1932 deragliato a Rometta il 20 luglio 2002, lungo la ferrovia Messina-Palermo (8 morti e 58 feriti): dopo 13 anni ancora sui binari. 
Già, da queste parti le riparazioni prendono eoni. Poco distante da me, a Rometta Marea, giace ancora abbandonata su un binario morto, parzialmente coperta di vegetazione, la locomotiva del treno espresso 1932, deragliata il 20 luglio 2002. Il disastro ferroviario aveva causato 8 morti e 58 feriti, il relativo processo vide assolti tutti gli imputati. La viabilità siciliana è sconvolta: chiusa per frana la A18 Messina-Catania, chiusa la A19 Palermo-Catania e parzialmente riaperta soltanto grazie ad una strada alternativa, la Via dell'Onestà, realizzata dai deputati regionali del Movimento 5 Stelle che hanno devoluto per lo scopo una parte dell'indennità parlamentare. Una emergenza che dura da anni. Se in Sicilia la presenza della mafia è tangibile, di quella dello Stato è difficile accorgersi. Il solo fatto che esista una Via dell'Onestà, da queste parti è già tanto.
La Via dell'Onestà, che oggi permette di superare l'interruzione della A19 Palermo-Catania dovuta al cedimento del viadotto Himera.
Non sono persona che facilmente si rassegni. Venerdì scorso, con gli amici Grilli del Tirreno, abbiamo organizzato un incontro con l'ingegnere Bruno Manfrè, responsabile per la provincia di Messina della Protezione Civile siciliana, a Calvaruso, uno dei luoghi-simbolo della nostra emergenza quotidiana. Questo paesetto, frazione di Villafranca Tirrena, insieme a Saponara, fu severamente colpito dall'alluvione dell 2012. Una decina di case vennero allora fatte sgomberare, i cittadini sfollati furono ammassati in un agriturismo poco distante e, dopo sei mesi, fatti rientrare nelle case, misteriosamente tornate agibili, benché nessuno avesse notato lavori di consolidamento. Nella mia ingenuità, convinto che qualche tipo di lavoro fosse stato fatto, chiesi cosa. Manfrè confermò che, in effetti, qualcosa era stato fatto: era stato predisposto un meccanismo di allarme che permette al Sindaco di informare tempestivamente i cittadini in occasione di violenti temporali, come poi è successo ieri. La Protezione civile, ha spiegato Manfrè, si occupa soltanto della prevenzione e della gestione delle calamità, mentre la manutenzione delle infrastrutture è compito di altri enti, Comuni, ex-Province e Regione. La prevenzione consiste evidentemente nel dare ai cittadini qualche ora di tempo per fuggire prima del disastro, la gestione delle calamità, invece, costituisce una buona fonte di reddito per gli albergatori della zona.
La Statua dell'Ecce Homo, opera di Fra' Umile da Pietralia, al santuario omonimo a Calvaruso.
Gli ultimi venti anni hanno visto la distruzione della Sicilia. I responsabili del sacco della mia terra sono i governi che si sono inutilmente succeduti a Roma come a Palermo. Oggi, con la disoccupazione al 22.2 %, 5 volte più che nell'Alto Adige e oltre il doppio della media europea, la Sicilia non ha neppure la possibilità di puntare sulle infrastrutture per il suo rilancio. Sono ottimista e voglio vedere una via d'uscita. Secondo gli articoli 36 e 37 dello Statuto della Regione Siciliana, alla Sicilia spettano tutte le tasse pagate da siciliani, lo Statuto Siciliano è infatti riconosciuto da una legge costituzionale italiana. Sebbene il principio sia stato più volte ribadito dalla Corte Costituzionale, l'ultima volta con la sentenza 131/2015[1], in realtà lo Stato incamera le entrate fiscali della Sicilia e quest'ultima, a fare i conti, vanta un credito di 7 miliardi verso lo Stato. Incredibilmente, il "governatore" siciliano, Crocetta, ha rinunciato al credito pur riconosciuto con sentenza della Consulta[2]. La via d'uscita è semplice: si dimetta Crocetta per essersi arrogato il diritto di rinunciare al credito, lo Stato riconosca quindi la nullità della rinuncia e dia alla Sicilia il dovuto. Da parte sua, la Sicilia si impegni nella realizzazione dei necessari interventi sulla rete stradale e ferroviaria siciliana. Potrebbe essere l'uovo di Colombo: dare lavoro e realizzare le infrastrutture necessarie per far tornare la Sicilia nel novero di quei paesi in cui si va al lavoro anche quando piove.

[1] http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=131
[2] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/07/05/crocetta-rinuncia-a-crediti-per-piu-di-tre-miliardi-bufera-sullintesa-con-lo-statoPalermo04.html