domenica 14 agosto 2016

Un Parlamento ad una piazza e mezzo


Se il problema fosse la perdita di tempo che deriva dall'avere due Camere  legislative con uguali poteri, la soluzione più ovvia all'attuale bicameralismo sarebbe il monocameralismo, un'opzione sulla quale a lungo discusse la Costituente. La "riforma" voluta da Renzi, invece, non è monocameralismo, non è bicameralismo, ma è... una camera e mezzo. E, quando si tratta di enunciare principi, come in una Costituzione si dovrebbe fare, raramente la virtù sta nel mezzo. In particolare, per differenziare i poteri delle due Camere, è stato necessario riscrivere l'articolo 70, che consisteva di nove semplici parole, con un testo lunghissimo, irto di riferimenti ad articoli e commi e, quindi, incomprensibile ai più. Non si tratta di un problema meramente estetico, sebbene l'eccessiva complessità di certe norme renda l'ignoranza della legge "scusabile" perché "inevitabile" (si veda la sentenza 24 marzo 1988, n. 364 della Corte Costituzionale), ma si tratta anche di un problema pratico: il contenzioso che nascerebbe da una simile norma potrebbe finire per rallentare piuttosto che accelerare il processo di approvazione delle leggi. Dubbi ancora maggiori sul monocameralismo e mezzo della riforma Renzi nascono ove si consideri il merito della divisione dei poteri tra le due Camere. In particolare, il Senato manterrebbe tutti i suoi poteri riguardo ai trattati dell'Unione Europea. Visto che sono previsti metodi completamente diversi per la formazione delle Camere: la Camera dei deputati eletta ed il Senato formato con elezioni di secondo grado e integrato con membri di nomina presidenziale, è verosimile che, su una questione importante come quella dei trattati europei, il sistema mostri tutta la sua schizofrenia precludendo ai rappresentanti del popolo ogni rideterminazione dell'esistente. Una riforma quindi fortemente antidemocratica e tesa a blindare lo status quo nei rapporti tra Italia e Unione Europea.
Una ulteriore ragione per non condividere la riforma è la considerazione obiettiva che il processo di formazione delle leggi sia oggi negativamente influenzato dal Governo, che sovraccarica le Camere con la decretazione d'urgenza, di cui si è abusato anche a giudizio della Corte Costituzionale. Anche qui la riforma Renzi non coglie l'obiettivo dichiarato.
Sopra ho esposto le principali ragioni per cui voterò no alla riforma Renzi. Avrei ancora da aggiungere un'obiezione minore. Se da una parte non ho dubbi sulla legittimità del processo di revisione costituzionale, da cittadino non posso non rilevare che questo processo è stato gestito da un Parlamento eletto sulla base di una legge dichiarata incostituzionale, con l'aggravante che il partito che più ha goduto dell'illegittimo premio di maggioranza non ha voluto ricercare ampie convergenze in Parlamento, ma ha preferito far da solo, addirittura ricorrendo ad alleanze estemporanee con frange di forze che pure, durante la campagna elettorale, erano state definite antagoniste. Seri dubbi sulla riforma vengono ancora dal fatto che alcuni dei proponenti in passato ripetutamente asserirono che la presenza di 5 senatori a vita nel Senato avesse condizionato negativamente la formazione e la caduta di alcuni governi: se prima si trattava di 5 senatori su 320, poco più dell'1% del Senato, dopo la riforma Renzi addirittura il 5% del Senato sarebbe di nomina presidenziale. E infine, permettetemi, odio la demagogia, i presunti risparmi che deriverebbero dalla riforma e che Renzi dichiara di voler trasferire ai "più poveri" sono risibili, visto che il Senato manterrebbe tutti i suoi uffici: un risparmio pari o addirittura superiore si sarebbe potuto ottenere riducendo il numero dei membri delle due camere o ritoccandone le indennità.