martedì 15 dicembre 2015

Corano, Vangelo e Bibbia: una lunga storia di pregiudizi e incomprensioni

Dialogate con belle maniere con la gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite [loro]: “Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo”. Corano 29, 46

Leggo, sulla bacheca fb di un amico, l'opinione di un tale che sostiene che la religione musulmana dovrebbe esser posta fuori legge secondo l'art. 8 della Costituzione e l'art. 414 del Codice Penale. Secondo costui addirittura si dovrebbe vietare la preghiera islamica e dovrebbero chiudersi le moschee esistenti. Dal momento che simili opinioni ormai circolano sulla rete avvelenando la convivenza civile con le comunità musulmane vale la pena analizzare questo pensiero.
Anzitutto, l'art. 8 della Costituzione stabilisce la libertà di tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica purché esse "non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano". L'art. 414 del Codice Penale invece riguarda l'istigazione a delinquere. Evidentemente quel tale deve ritenere che la religione musulmana istighi a delinquere. A riprova di ciò, egli cita due versetti del Corano, sura 5 versetti 32 e 33. Il versetto 33 effettivamente suona un po' truce,

"La ricompensa di coloro che fanno la guerra a Dio e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l'ignominia che li toccherà in questa vita; nell'altra vita avranno castigo immenso". 

Il versetto 32, al contrario, stabilisce che "chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera". In altri termini il versetto 33 stabilisce la pena di morte per chi bestemmia ed il 32 pone dei limiti: "attenzione però, mandare a morte un innocente è una grave colpa", ponendo così un grosso ostacolo all'applicabilità del versetto 33. C'è da rimanere incantati dalla sapienza levantina racchiusa nel Corano: ogni qual volta venga stabilito un principio troppo duro, si provvede a porre precisi limiti che ne rendano difficile l'applicazione pratica. Una sottigliezza questa che apparentemente sfugge al nostro interlocutore islamofobo. Ci si potrebbe chiedere perché il Corano stabilisca leggi così dure da dover poi stabilire regole di applicazione così tortuose da minarne l'efficacia. Chi possiede una discreta cultura biblica conosce la risposta che, indubbiamente, per il nostro amico islamofobo suonerà come una beffa. In realtà la norma rigida proviene dall'Antico Testamento (Levitico, 16):

"Chi bestemmia il nome del Signore dovrà essere messo a morte: tutta la comunità lo dovrà lapidare. Straniero o nativo del paese, se ha bestemmiato il nome del Signore, sarà messo a morte". 

Come la mette allora il nostro detrattore dell'Islam? Il Corano lascia almeno ai bestemmiatori l'alternativa dell'esilio, la Bibbia non dà scampo. In virtù dello stesso ragionamento, egli dovrebbe chiedere la messa al bando anche dei cristiani e, soprattutto, degli ebrei. I cristiani infatti possono trovare un ragionamento simile a quello del versetto 32 della sura 5 nel Vangelo di Luca (12,10) dove si dice che "Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato": forse così i bestemmiatori potrebbero sfruttare le sottigliezze della dottrina trinitaria per evitare la pena capitale. 

In realtà, le prescrizioni bibliche sono sempre le più drastiche, la citata punizione per i bestemmiatori e la lapidazione per gli adulteri risalgono a due dei libri più antichi dell'Antico Testamento: il Levitico e l'Esodo, risalenti a circa 1200-1300 anni prima di Cristo: si prevedono pene drastiche perché nelle condizioni della fuga dall'Egitto è difficile immaginare pene detentive. Successivamente, anche presso gli ebrei, la durezza della legge si attenua e persino la condanna per l'adulterio con Betsabea non impedisce di giudicare Davide un grande re. Tuttavia, nello stesso tempo periodo storico, 500 anni prima di Cristo,  il Deuteronomio ribadisce formalmente la durezza della legge mosaica, mentre nella società va sviluppandosi l'idea di un dio misericordioso e quindi capace di perdonare anche i peccati più gravi. In qualche modo la tradizione ebraica, come poi quella cristiana e quella musulmana - tutte e tre le religioni infatti considerano l'Antico Testamento un libro sacro - rimangono intrappolate dall'eccessiva durezza della legge mosaica: essa non può essere smentita perché parola di dio ma va tuttavia mitigata con il concetto di misericordia che si sviluppa presso i cristiani e poi presso i musulmani.

Sulla pena per gli adulteri mi piace citare la vecchia legge mosaica, "Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l'adùltero e l'adùltera dovranno esser messi a morte." (Levitico 20, 10), la pena di morte, secondo la tradizione ebraica avveniva per lapidazione. La maniera in cui la prescrizione mosaica viene elusa dai cristiani è ben nota:  in Giovanni 10, 4-7 leggiamo  "«Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.  Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.  E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»".  Più complicata è la soluzione proposta dal Corano: da una parte viene ribadita la legge mosaica, specificando però che per pronunciare la condanna occorrono quattro testimoni concordi (Corano 4, 15) "Se le vostre donne avranno commesso azioni infami (fornicazione o adulterio) portate contro di loro quattro testimoni dei vostri. E se essi testimonieranno, confinate quelle donne in una casa finché non sopraggiunga la morte o Dio apra loro una via d'uscita.". Però occorre far attenzione, sempre secondo il Corano (24, 4) "coloro che accusano le donne oneste senza produrre quattro testimoni, siano fustigati con ottanta colpi di frusta e non sia mai più accettata la loro testimonianza. Essi sono i corruttori", la stessa pena si applica agli spergiuri, cosa che avviene se i quattro testimoni necessari a provare l'accusa si contraddicono.

Noterete che non ho adoperato la parola Allah, traducendo ogni volta con dio. In effetti i cristiani di lingua araba si rivolgono a dio chiamandolo Allah, e questo nome viene dalla stessa radice dell'ebraico Eloim, dio, appunto. Lasciare invariato nella traduzione italiana Allah è infatti ridicolo dal punto di vista filologico, come lasciare Dieu o God in un testo tradotto dal francese o dall'inglese, ma è soprattutto una mistificazione, suggerendoci implicitamente che questo Allah sia una persona diversa dal "nostro" dio, un po' come Zeus o Odino. Non è così, non soltanto perché i musulmani considerano l'Antico Testamento e i Vangeli come libri sacri, ma soprattutto perché così si afferma nel Corano, non a caso ho aperto con una citazione del brano rilevante. Da un punto di vista teologico i musulmani possono essere considerati cristiani monofisisti, eretici, se volete, ma cristiani.

Per chiudere, ci tengo a dire che personalmente non sono religioso e sono sempre stato convinto che lo Stato debba essere laico e indipendente da ogni legge divina. La caratteristica delle leggi umane è che esse possono essere modificate se si rivelano errate, lo stesso pare che non sia possibile con le leggi divine. Rifarsi, come si sarebbe voluto fare nella poi abortita Costituzione Europea, a "radici giudaico-cristiane" sarebbe stato equivalente a stabilire come principio fondante dell'Europa proprio quell'incredibilmente dura legge mosaica, aggiungendo però l'aggravante dell'esclusione dell'Islam, mentre questo fa parte a pieno titolo della stessa tradizione.

sabato 24 ottobre 2015

La cannabis e le mille risorse della mafia

Cannabis sativa

E' all'esame in Parlamento una proposta di legge per la liberalizzazione della cannabis [1], voluta inizialmente dal M5S e poi firmata da 218 parlamentari di tutti gli schieramenti politici. E' una buona proposta: riconosce a chiunque il diritto di coltivare in casa fino a cinque piantine, per uso personale. La proposta non prevede alcuna tassa e, se fosse approvata, assesterebbe un colpo formidabile alla mafia, rendendo non più lucrativo lo spaccio. Il principale ostacolo all'approvazione è stato finora il fiume di decreti "urgenti" proposti dal governo Renzi che, intasando il parlamento, hanno ritardato l'iter del disegno di legge. Adesso, tuttavia, si profila un nuovo, più subdolo, ostacolo.
Una campagna giornalistica, orchestrata dal giornale "la Repubblica", suggerisce che, tassando la cannabis, i proventi potrebbero essere utilizzati per finanziare lo stato e gli enti locali ed i buchi neri costituiti dai rispettivi debiti [2]. Viene allo scopo utilizzato uno studio pubblicato da due docenti dell'Università di Messina, Pietro David​ e Ferdinando Ofria[3], che stimano il possibile gettito fiscale in una cifra compresa tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. Tanto per capire, si tratterebbe, in media, di oltre 100 euro per ogni cittadino italiano, compresi neonati e anziani nelle case di riposo. Probabilmente poi, il "patto di stabilità" obbligherebbe gli enti locali più indebitati ad adottare le aliquote più elevate. A prendere per buone le cifre di David e Ofria, quanto dovrebbe sborsare un consumatore siciliano di cannabis per coltivarsi le sue cinque piantine? Mille euro l'anno? Ce n'è abbastanza per alimentare un mercato grigio, rendendo nuovamente conveniente per la mafia l'affare dello spaccio.
Oggi lo Stato italiano e la farmacopea ufficiale riconoscono la validità dell'uso terapeutico della cannabis [4], particolarmente utile nella terapia del dolore in gravi patologie, soprattutto oncologiche. Oggi purtroppo questi malati trovano grandi difficoltà e devono affrontare spese elevate per approvvigionarsi del farmaco[5]. Liberalizzare la cannabis è anche un modo per alleviare le sofferenze di questi cittadini meno fortunati.

[1] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/939417/index.html?aj=no
[2] http://www.repubblica.it/cronaca/2015/10/24/news/cannabis_di_stato_otto_miliardi_di_euro_il_ricavo_di_un_anno-125775906/
[3] http://www.lavoce.info/archives/36435/droghe-leggere-la-legalizzazione-e-un-buon-affare/
[4] http://www.ilpost.it/2014/03/08/cannabis-marijuana-terapeutica-italia/
[5] http://www.fondazioneveronesi.it/articoli/lesperto-risponde/cannabis-scopo-terapeutico-quando-si-puo-utilizzare

giovedì 15 ottobre 2015

Allarme rosso, governo ladro!

Frana di Saponara, novembre 2011, 3 morti.

Oggi non sono andato al lavoro. La Protezione Civile ha proclamato l'allarme rosso per "rischio idrogeologico", il rettore ha chiuso la mia università, il sindaco di Villafranca Tirrena, il paese in cui vivo, ha chiuso le scuole e ha informato i cittadini per telefono, con un nastro registrato. La strada che avrei dovuto percorrere per fare lezione, la statale 113, è tutta costellata di divieti di transito "in caso di avverse condizioni meteo", molte altre strade qui intorno recano lo stesso cartello. I cartelli sono apparsi dopo l'esondazione del torrente Saponara, qui vicino, e dopo la frana che ha fatto tre vittime, tre anni fa. Se viaggi, lo fai a tuo rischio e pericolo.

Il viadotto Ritiro, dichiarato pericolante, e gli svincoli di Giostra (A20), incombono su un popoloso quartiere di Messina. 

Dal 2012, i limiti di velocità e il restringimento della carreggiata sulla A 20 causano ore di coda ai pendolari messinesi.
La pioggia c'è stata, ma niente di che. In montagna, però, ha piovuto di più e, si sa, i torrenti in piena possono esondare: a valle sono tutti tombati e lungo il corso si scorgono detriti di ogni genere, frigoriferi e televisori compresi. Dalle mie parti oggi non ci sono state frane, ma ieri a Ribera di Agrigento c'è stato un disastro, è franata la strada statale a Polizzi Generosa, pochi giorni fa era franata l'autostrada Messina Catania e ieri sera, tornando a casa dal lavoro, ho dovuto evitare qualche ramo sulla carreggiata. E' strano, ma non chiudono i centri commerciali, non chiudono le discoteche, non chiudono i negozi, sembra che le ordinanze dei sindaci non si applichino a queste "attività produttive". Evidentemente, la scuola per i bambini e le mie lezioni di fisica all'università per i futuri ingegneri non sono considerate attività produttive. In Sicilia, ormai, il numero delle strade interrotte sta per superare quello delle strade transitabili. Ogni pioggia autunnale potrebbe tramutarsi in tragedia e in molte frazioni si rischia di rimanere intrappolati, senza vie di fuga. Il viadotto Ritiro dell'autostrada A20 Messina-Palermo è dichiarato pericolante dal 2012. Ma si continua a transitare, a velocità ridotta e su una sola carreggiata, perché manca la viabilità alternativa.

Le carrozze dell'espresso 1932 deragliato a Rometta il 20 luglio 2002, lungo la ferrovia Messina-Palermo (8 morti e 58 feriti): dopo 13 anni ancora sui binari. 
Già, da queste parti le riparazioni prendono eoni. Poco distante da me, a Rometta Marea, giace ancora abbandonata su un binario morto, parzialmente coperta di vegetazione, la locomotiva del treno espresso 1932, deragliata il 20 luglio 2002. Il disastro ferroviario aveva causato 8 morti e 58 feriti, il relativo processo vide assolti tutti gli imputati. La viabilità siciliana è sconvolta: chiusa per frana la A18 Messina-Catania, chiusa la A19 Palermo-Catania e parzialmente riaperta soltanto grazie ad una strada alternativa, la Via dell'Onestà, realizzata dai deputati regionali del Movimento 5 Stelle che hanno devoluto per lo scopo una parte dell'indennità parlamentare. Una emergenza che dura da anni. Se in Sicilia la presenza della mafia è tangibile, di quella dello Stato è difficile accorgersi. Il solo fatto che esista una Via dell'Onestà, da queste parti è già tanto.
La Via dell'Onestà, che oggi permette di superare l'interruzione della A19 Palermo-Catania dovuta al cedimento del viadotto Himera.
Non sono persona che facilmente si rassegni. Venerdì scorso, con gli amici Grilli del Tirreno, abbiamo organizzato un incontro con l'ingegnere Bruno Manfrè, responsabile per la provincia di Messina della Protezione Civile siciliana, a Calvaruso, uno dei luoghi-simbolo della nostra emergenza quotidiana. Questo paesetto, frazione di Villafranca Tirrena, insieme a Saponara, fu severamente colpito dall'alluvione dell 2012. Una decina di case vennero allora fatte sgomberare, i cittadini sfollati furono ammassati in un agriturismo poco distante e, dopo sei mesi, fatti rientrare nelle case, misteriosamente tornate agibili, benché nessuno avesse notato lavori di consolidamento. Nella mia ingenuità, convinto che qualche tipo di lavoro fosse stato fatto, chiesi cosa. Manfrè confermò che, in effetti, qualcosa era stato fatto: era stato predisposto un meccanismo di allarme che permette al Sindaco di informare tempestivamente i cittadini in occasione di violenti temporali, come poi è successo ieri. La Protezione civile, ha spiegato Manfrè, si occupa soltanto della prevenzione e della gestione delle calamità, mentre la manutenzione delle infrastrutture è compito di altri enti, Comuni, ex-Province e Regione. La prevenzione consiste evidentemente nel dare ai cittadini qualche ora di tempo per fuggire prima del disastro, la gestione delle calamità, invece, costituisce una buona fonte di reddito per gli albergatori della zona.
La Statua dell'Ecce Homo, opera di Fra' Umile da Pietralia, al santuario omonimo a Calvaruso.
Gli ultimi venti anni hanno visto la distruzione della Sicilia. I responsabili del sacco della mia terra sono i governi che si sono inutilmente succeduti a Roma come a Palermo. Oggi, con la disoccupazione al 22.2 %, 5 volte più che nell'Alto Adige e oltre il doppio della media europea, la Sicilia non ha neppure la possibilità di puntare sulle infrastrutture per il suo rilancio. Sono ottimista e voglio vedere una via d'uscita. Secondo gli articoli 36 e 37 dello Statuto della Regione Siciliana, alla Sicilia spettano tutte le tasse pagate da siciliani, lo Statuto Siciliano è infatti riconosciuto da una legge costituzionale italiana. Sebbene il principio sia stato più volte ribadito dalla Corte Costituzionale, l'ultima volta con la sentenza 131/2015[1], in realtà lo Stato incamera le entrate fiscali della Sicilia e quest'ultima, a fare i conti, vanta un credito di 7 miliardi verso lo Stato. Incredibilmente, il "governatore" siciliano, Crocetta, ha rinunciato al credito pur riconosciuto con sentenza della Consulta[2]. La via d'uscita è semplice: si dimetta Crocetta per essersi arrogato il diritto di rinunciare al credito, lo Stato riconosca quindi la nullità della rinuncia e dia alla Sicilia il dovuto. Da parte sua, la Sicilia si impegni nella realizzazione dei necessari interventi sulla rete stradale e ferroviaria siciliana. Potrebbe essere l'uovo di Colombo: dare lavoro e realizzare le infrastrutture necessarie per far tornare la Sicilia nel novero di quei paesi in cui si va al lavoro anche quando piove.

[1] http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=131
[2] http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/07/05/crocetta-rinuncia-a-crediti-per-piu-di-tre-miliardi-bufera-sullintesa-con-lo-statoPalermo04.html

sabato 1 agosto 2015

NON E' COMPLOTTISMO: E' LOTTA DI CLASSE

Faccio sempre molta attenzione alle dichiarazioni del senatore Mario Monti, cui riconosco non comuni capacità di chiarezza e fors'anche di preveggenza. In un'intervista a Rai3 (Agorà, 28 luglio 2015, dal minuto 50 in poi), Monti ha dichiarato che con "la casa di proprietà, c’è meno mobilità nel paese, il mercato del lavoro è meno mobile". Non soltanto, ma gli italiani investono meno sull'educazione dei propri figli (io credevo che questo fosse soprattutto un compito dello stato) e vivono troppo a lungo con i genitori.

Il senso di quello che dice Monti è chiaro ed è perfettamente coerente con l'idea che della società hanno gli anarcocapitalisti come lui. I lavoratori non devono avere casa, non devono avere diritti e devono essere indebitati fino al collo: soltanto in queste condizioni accetteranno di spostarsi ove più convenga ai loro padroni e dimenticheranno persino che quando non serviranno più arriverà puntuale la lettera di licenziamento. Il possesso di una casa, il diritto alla salute e all'istruzione sono, non casualmente, ostacoli per il disegno anarcoliberista, che prevede la massima libertà di circolazione per i capitali e per la manodopera. Gli Stati stessi sono un ostacolo, e devono essere, se non aboliti, almeno sterilizzati, "cedendo quote di sovranità agli organismi sovranazionali" (qui cito a memoria un discorso tenuto dallo stesso Monti), gli organismi sovranazionali sono gli stessi banchieri. La globalizzazione, l'IMF (Fondo Monetario Internazionale) e il WTO (World Trade Organization), e da noi, l'UE e l'euro sono gli strumenti del loro dominio.

Il mercato libero, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, si autoregola soltanto imponendo salari più bassi e condizioni di vita peggiori per tutti. I pochi ricchi diventano sempre più ricchi e i molti poveri sempre più poveri. Paradossalmente, l'ideologia capitalistica che sta alla base del liberismo e del Monti-pensiero continua a piacere anche in molti ambienti "di sinistra". In fondo del libertarianismo esistono versioni di destra e di sinistra. Liberi di amarsi, liberi di far soldi. Entrare la domenica sera in un centro commerciale per acquistare un i-phone con la finanziaria ci fa sentire più liberi. Ci appaiono lontani e tristi quegli anni in cui i negozi restavano chiusi la domenica e, per acquistare un gadget tecnologico, si doveva aspettare di mettere da parte i soldi. Oggi basta pensare all'oggetto del desiderio ed entrare nel negozio per portarselo a casa: il trionfo della libertà individuale, per alcuni. Meglio non pensare che il commesso che ci ha venduto l'oggetto è uno stagista che lavora 50 ore la settimana per 800 euro al mese. Meglio non pensare che il commesso la domenica non può andare al mare con la famiglia, e neppure gli altri giorni: lui è libero il martedì, la moglie il mercoledì, sempre che non ci siano colleghi malati da sostituire. Un tempo bastava che lavorasse uno solo in una famiglia, oggi lavorando in due ce la si fa a stento e soltanto perché c'è la casa che i nostri genitori ci hanno lasciato in eredità. Fintanto che si lavora in due, e con la casa di papà, ce la si può anche fare a comprare cibo scadente al discount col poco che resta dopo aver pagato le rate della finanziaria. Ma basta un nonnulla, è la crisi, si viene licenziati, le banche si prendono la casa del povero papà e... noi saremo più disponibili alla mobilità. Abbiamo creduto che lavorare in due in una famiglia rendesse le donne più libere, perché continuiamo a non voler contare le coppie di separati in casa obbligati ad una difficile convivenza proprio perché non possono permettersi il lusso di una effettiva separazione? Perché non vogliamo capire a cosa si è ridotta la nostra convivenza se io oggi lavoro la mattina e lei la sera e, a stento, riusciamo a condividere in orari differenti lo stesso schermo televisivo full HD 3D?

Io sono tra quelli che hanno gioito, povero illuso, quando il trattato di Maastricht stabilì la libera circolazione dei cittadini dell'Unione Europea. Lavoravo in Inghilterra, a Bristol e, da un giorno all'altro, non ho più avuto bisogno di un'assicurazione sanitaria privata: d'allora in avanti per me avrebbe pagato il servizio sanitario nazionale, finalmente sarei stato trattato come un cittadino inglese. Poi è passato del tempo e mi sono accorto che il servizio sanitario pagava sempre meno, che le liste di attesa si allungavano, la qualità dell'assistenza peggiorava, i ticket erano sempre più salati e cresceva il numero di quanti non potevano più permettersi le cure, in Inghilterra come in Italia.

Ho sempre avuto in odio il razzismo, sono di quella generazione cresciuta leggendo il "Diario di Anna Frank" e "Ragazzo negro". Come avrei potuto credere che qualcosa di infido si nascondesse dietro l'apertura delle frontiere all'immigrazione? Venivano dai paesi dell'Africa per lavorare da noi, venivano dall'Europa orientale per accudire le nostre vecchie madri. Un'opportunità per loro, come per noi. Ricordavo il racconto di mio nonno che aveva messo su famiglia con i pochi dollari sudati in una fabbrica di sigari di Philadelphia. E quando ho visto gli immigrati accontentarsi di salari sempre più bassi, di condizioni di vita sempre peggiori, ho pensato di potermi consolare, in fondo mio nonno doveva accontentarsi di guadagnare meno di uno yankee e anche per lui era stata dura in America. Poi, quando finalmente ho capito cosa stava accadendo, i salari erano già bassi per tutti, i diritti non c'erano più per nessuno.

Globalizzazione, a me quella parola non è mai piaciuta, legato come sono sempre stato alla mia insularità. Siciliano e cittadino del mondo. Un tempo mi piaceva scherzare e dire di essere bilingue: la mia prima lingua era il siciliano e la seconda l'inglese. Da siciliano e cittadino del mondo che non capiva perché l'essere italiano avrebbe dovuto preferirsi all'esser siciliano, non capivo neppure perché essere europeo avrebbe dovuto costituire un miglioramento. Mi piaceva e mi piace sempre incontrare gente diversa, confrontarmi con culture diverse. Ho seduto fumando con il capofamiglia in una capanna di fango Masai, c'erano due stanze, una per gli uomini ed una per gli animali. Io parlavo inglese, la mia guida traduceva in swahili e uno dei figli del mio ospite in Masai, mentre sul focolare cuoceva una povera zuppa di banane verdi. Se non l'avete provato, non capirete cosa vuol dire cercare di intendersi a tutti i costi. Ed alla fine ci riuscimmo, eravamo tutti sorridenti e ci abbracciavamo. Io credevo che il mondo multietnico e multiculturale cui aspiravamo in quei maledetti anni Novanta fosse qualcosa come fumare dalla stessa pipa con il vecchio Masai, sorridere e stringersi la mano. Purtroppo, invece, la sola cultura unificante che vedo diffondersi è quella delle serie televisive e dei reality show. Cristiani, musulmani, buddisti, atei e induisti guardiamo la stessa TV, compriamo gli stessi smartphone, miracolo del mercato globale. La comprensione reciproca è arrivata al punto in cui il terrorismo "islamico" viene ricambiato con i bombardieri europei e americani. E nessuno che si chieda se l'aver bombardato la Libia del cattivo Gheddafi abbia qualcosa a che vedere con le imprese del sedicente Califfato islamico. Noi credevamo di esportare il benessere nel Terzo Mondo, purtroppo ne abbiamo importato la fame.

Fui felice, nel 1979, di votare per il primo Parlamento europeo. Avevo studiato di un Parlamento in cui erano risuonate le tre magiche parole: libertà, uguaglianza e fraternità, sapevo dalle narrazioni di mio padre come quando c'è una dittatura non si vota e mi aspettavo che quel nuovo parlamento potesse aggiungere altre parole magiche come progresso, diritti, tolleranza e prosperità. Anche se non mi piaceva tanto che fosse un parlamento soltanto europeo, da quando ero bambino sapevo che le elezioni sono sempre una buona cosa. E' il popolo che decide, così mi dicevano. In effetti una bella parola nuova venne fuori, fu Erasmus e permise a tanti giovani come me di viaggiare per studiare, di incontrare coetanei di altri Paesi, di imparare a confrontarsi con sistemi, mentalità diverse. In Inghilterra ammirai la puntualità delle poste e dei treni, il rispetto per il lavoro, per le strade e i prati, quei College belli come cattedrali, amai gli inglesi quando dicevano che grazie alle borse di studio il figlio di un bottegaio era diventato Isaac Newton, quando dicevano che le tasse sui libri e la cultura erano immorali. Al mio ritorno in Italia avrei voluto portare con me un pezzo di quell'Inghilterra adorabilmente moralista nel mio posto di lavoro. Non soltanto questo non fu possibile, ma ritornando in Inghilterra negli anni successivi mi è capitato di vedere lattine abbandonate sui marciapiedi della metro. E intanto l'Europa chiedeva agli inglesi di tassare i libri e agli italiani di distruggere le arance e il latte. Ricordate le arance sotto i cingoli dei trattori? L'Europa chiedeva. Dopo Erasmus nessuna parola magica è venuta dall'Europa e, delle tre parole della Rivoluzione francese, sopravvive oggi soltanto libertà, mentre ci allontaniamo sempre più dalla fratellanza e la distribuzione della ricchezza o il godimento di diritti diventano sempre più ineguali.


Ho scritto sopra degli anarcocapitalisti, non voglio essere frainteso. L'anarco-capitalismo è una dottrina politica prima che economica. Una religione laica fondata sul libero mercato, una versione moderna dell'homo homini lupus, e sui dogmi accessori dell'alleggerimento dello Stato e delle privatizzazioni. Non sorprende che persone con interessi simili si alleino e agiscano più o meno di concerto. I capitalisti di tutto il mondo preferiscono spostare la produzione dai paesi d'origine, dove i lavoratori ancora godono di salari e tutele relativamente elevati, verso il Terzo Mondo dove i lavoratori sono assai meno pagati e garantiti. E' logico quindi che i capitalisti si alleino tra loro. Hanno tutto da guadagnare dalla globalizzazione e dalla distruzione degli stati nazionali, i fatti inequivocabilmente dicono che si sono impadroniti, con mezzi in gran parte leciti, del controllo dei centri nevralgici del potere e dell'informazione. Non c'è alcun bisogno di pensare a "complotti", è sufficiente attenersi al vecchio metodo materialista per comprenderlo. Non è altrettanto evidente, invece, perché non riesca a farsi strada l'idea che ad un nemico così potente e coalizzato si debba opporre una coalizione sociale più ampia possibile e disposta a dare battaglia su tutti i temi importanti della globalizzazione. La sola spiegazione che riesco a darmi è la diffusione tra gli intellettuali di una vera e propria subalternità culturale rispetto alle varie declinazioni del tema della libertà.