domenica 7 gennaio 2018

Sacchetti biodegradabili: un milione di buone ragioni per smetterla di giocare!


Dal primo gennaio i supermercati devono fornire sacchetti biodegradabili a pagamento per tutti gli alimenti sfusi che devono essere pesati. La nuova norma, contenuta nella Legge n. 123 del 3 agosto 2017, non ha mancato di suscitare polemiche. Tra i sostenitori del provvedimento, alcuni  si sono trincerati dietro la solita frase "l'Europa ce lo chiede", in questo caso quantomai falsa poiché nessuna norma comunitaria impone l'uso di tali sacchetti. Altri, invece, hanno plaudito all'iniziativa del governo: si tratterebbe di un piccolo contributo per sostenere l'ambiente, giusto, quindi, imporlo per legge. Questa tesi sembra smontata dal fatto che tale "contributo" rimarrà nelle mani di chi ci vende gli alimenti contenuti nei sacchetti. Tra i molti critici, il Sole 24 ore, giornale abitualmente equilibrato nei giudizi,avanza una serie di dubbi che appaiono fondati [1]. Perché non permettere l'uso alternativo di sacchetti di carta, sicuramente più ecosostenibili? Perché imporre che i sacchetti siano monouso e, cioè, che non possano essere riutilizzati per lo stesso scopo e, ancora, perché stabilire che essi siano fabbricati con plastica vergine, cioè non riciclata? In alcuni ambienti economici, ripresi dallo stesso quotidiano milanese, si ventila che il provvedimento, più che proteggere l'ambiente, abbia il fine di favorire alcuni produttori di bioplastica: si spiegherebbe così il fatto che la plastica dei sacchetti potrà essere prodotta da materie prime rinnovabili soltanto al 40% (a regime si arriverà al 60%), in altre parole potrebbe persino non essere adatta al compostaggio dei rifiuti organici, in tal caso i sacchetti che ci verranno venduti dai supermercati dovrebbero essere conferiti con la plastica e non con la frazione umida...
Personalmente, non sono incline a credere che sia una manovra volta a favorire Tizio o Caio, produttori di sacchetti. Al contrario, penso che si tratti dell'ennesima norma raffazzonata, volta a dare l'impressione di aver fatto qualcosa per l'ambiente per poi spenderla in campagna elettorale, mentre l'ambiente rimane probabilmente l'ultima tra le priorità dei governi di questa legislatura. L'obbligo di usare plastica vergine e sacchetti monouso suggerisce infatti che tali misure potrebbero ottenere un effetto opposto a quello che si proclama di volere, aumentando la quantità di plastica così prodotta. E, di certo, non depone bene il fatto che la norma sia stata inserita in una legge con tutt'altro titolo (Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno)...

L'inquinamento da materie plastiche costituisce indubbiamente una delle emergenze del pianeta, come vuole ricordare la foto in alto: tali materiali "sopravvivono" nell'ambiente per tempi lunghissimi che, in qualche caso, giungono ai 1000 anni. La politica dei paesi più ricchi, negli ultimi anni, ha cercato di spingere nella direzione del riciclo di tali materiali. Si è preferito sorvolare sul fatto che il riciclo delle plastiche richiede energia, produce CO2, e, quindi, è di per se inquinante. Si è preferito dimenticare che le plastiche riciclate hanno sempre una qualità inferiore a quella delle plastiche vergini da cui derivano e, quindi, non sono adatte ad un uso igienico in contatto con alimenti. Un parziale cambiamento di rotta è contenuto nella direttiva UE 2015/720 del 29 aprile 2015. La direttiva è proprio quella invocata dal governo per giustificare la legge sui sacchetti. In realtà essa impone agli Stati membri l'adozione delle "misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero", obiettivo che, come abbiamo visto, la legge 123/2017 non può cogliere. La stessa direttiva UE spiega come la misura possa  (a) comprendere il ricorso a obiettivi di riduzione a livello nazionale oppure (b) prevedere il mantenimento o l'introduzione di strumenti economici nonché restrizioni alla commercializzazione.
Senza porsi alcun obiettivo di riduzione, il Governo italiano ha scelto la più facile strada (b) e ha deciso di imporre un costo visibile per (alcuni) sacchetti, cosa che parrebbe atta a disincentivarne il consumo, stabilendo però contestualmente l'obbligo di usare sacchetti vergini, nei fatti rendendo impossibile ogni riduzione, a meno che non intendiamo smettere di consumare frutta e verdura.

Nel seguito di questo articolo cercherò di discutere quali misure alternative veramente efficaci sarebbero state possibili, prendendo in considerazione le varie tipologie di imballaggi di plastica che oggi vengono riciclate con un costo elevato per la società o, peggio ancora, finiscono in discariche e inceneritori. Per ognuna delle tipologie, fornisco il peso stimato dei rifiuti prodotti in media da un italiano, per avere il peso totale basta moltiplicare per 60 milioni. Una fonte che si è rivelata utile a questo proposito è il blog "portalasporta", promosso dall'Associazione Comuni Virtuosi [2]. In ogni caso, come vedremo, la parola magica è riuso. Imballaggi e contenitori devono essere realizzati con materiali durevoli, come ad esempio il vetro o la plastica rigida, stabilendo norme che spingano al riuso degli stessi, come potrebbe essere una tassa su ogni contenitore.

Composizione dei rifiuti di materia plastiche provenienti dalle famiglie italiane. 


0.7 Kg: sacchetti per frutta e ortaggi

Prima di ogni altra cosa è necessario sapere di cosa stiamo parlando: i sacchetti per frutta e ortaggi oggi in uso da parte della grande distribuzione, come quelli impiegati prima della nuova legge, pesano circa 4 grammi. In un anno, secondo le statistiche, ogni italiano ne usa in media 170, circa 0.7 kg a testa o, se preferite, 42 mila tonnellate l'anno in Italia. E' dubbio che la nuova legge ridurrà in qualche modo questa quota.

1 Kg: detergenti per la cura della persona
Questo è il peso medio dei contenitori dei detergenti che un consumatore italiano acquista in media in un anno. Come ridurli? Accordare la propria preferenza ai saponi solidi, come un tempo si usava, piuttosto che a quelli liquidi, sarebbe la soluzione ideale: sono commercializzati usando la carta, materiale riciclabile e compostabile, come imballaggio. E come fare con lo shampoo o il bagnoschiuma, vere icone della società dei consumi [3]? Potrebbero essere venduti alla spina e versati in flaconi di vetro o plastica di proprietà del consumatore. Una soluzione che avrebbe un minore impatto sui consumatori è la vendita in buste di plastica monouso, come oggi avviene per alcuni "ricambi". Tali buste, avendo un peso sensibilmente inferiore, ridurrebbero l'impatto sull'ambiente.

 1,9 Kg: stoviglie usa e getta

A tanto ammonta il peso di piatti, bicchieri e posate di plastica prodotto in media da un italiano.
La soluzione è estremamente semplice, bisogna usare stoviglie costruite con materiali durevoli ed impiegare per il lavaggio le lavastoviglie, che richiedono un consumo di acqua e detersivi molto ridotto rispetto al lavaggio a mano. Evitando rimedi drastici come la proibizione delle stoviglie in plastica, sarebbe sufficiente imporre su di esse una tassa e fare una campagna di sensibilizzazione.

3 Kg: buste di plastica monouso

Le sporte monouso sono proibite in Italia dal 2011 soltanto presso la grande distribuzione di generi alimentari, ma continuano ad essere utilizzate presso negozi piccoli o di generi non alimentari o mercati rionali, per un totale stimato in circa 3 Kg l'anno per ogni italiano (prima della legge del 2011 erano 6 Kg). Estendere a tutti gli esercizi la normativa vigente per i supermercati alimentari consentirebbe di azzerare questa cifra.

4 Kg: contenitori per detersivi e detergenti per la casa

In media, in un anno, ogni italiano si disfa di 70 contenitori per detersivi e detergenti per la casa, per un totale di circa 4 kg. Obbligare la vendita alla spina dei detersivi liquidi avrebbe un forte impatto di riduzione dell'inquinamento. 

7 Kg: contenitori di plastica per bevande, succhi, acqua minerale, latte

Anche qui l'obbligo della distribuzione alla spina permetterebbe una drastica riduzione degli inquinanti.

Conclusioni

La proibizione degli shopper monouso presso i supermercati, stabilita per legge nel 2011 ed entrata in vigore soltanto nel 2015 dopo mille proroghe, ha permesso una importante riduzione della produzione di rifiuti di plastica che può essere stimata, per ogni anno, in circa 3 Kg per ogni italiano ovvero in 180 mila tonnellate in totale. La produzione totale di rifiuti di plastica ammonta tuttavia ancora a circa 17.6 Kg pro capite ovvero circa un milione di tonnellate l'anno in totale. La normativa introdotta dalla legge 123/2017 incide soltanto su 0.7 Kg pro capite di rifiuti di plastica, ovvero su circa il 4% del totale e non fornisce neppure garanzia di ridurre tale minuscola quota. Provvedimenti molto più efficaci potrebbero essere introdotti, senza incidere troppo sulle abitudini dei consumatori, intervenendo sugli shopper monouso (17% del totale degli attuali rifiuti di plastica) ancora permessi in molti esercizi commerciali, come pure con la proibizione dei contenitori monouso per detersivi e detergenti destinati all'impiego casalingo (23%). Ancora di più si può fare intervenendo sulle bottiglie di plastica adoperate per contenere bevande, latte o succhi (40%). Gli interventi che propongo porterebbero ad un abbattimento dell'80% dei rifiuti di plastica


[1] http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2018-01-03/ecco-come-funziona-legge-sacchetti-biodegradabili-210318.shtml?uuid=AEDsBpaD&refresh_ce=1
[2] http://www.portalasporta.it/plastica_meno_15_chili.htm
[3] https://www.youtube.com/watch?v=1RRt_3iU5Os