Faccio
sempre molta attenzione alle dichiarazioni del senatore Mario Monti,
cui riconosco non comuni capacità di chiarezza e fors'anche di
preveggenza. In un'intervista a Rai3 (Agorà, 28 luglio 2015, dal
minuto 50 in poi), Monti ha dichiarato che con "la
casa di proprietà, c’è meno mobilità nel paese, il mercato del
lavoro è meno mobile". Non soltanto, ma gli italiani investono
meno sull'educazione dei propri figli (io credevo che questo fosse
soprattutto un compito dello stato) e vivono troppo a lungo con i
genitori.
Il
senso di quello che dice Monti è chiaro ed è perfettamente coerente
con l'idea che della società hanno gli anarcocapitalisti come lui. I
lavoratori non devono avere casa, non devono avere diritti e devono
essere indebitati fino al collo: soltanto in queste condizioni
accetteranno di spostarsi ove più convenga ai loro padroni e
dimenticheranno persino che quando non serviranno più arriverà
puntuale la lettera di licenziamento. Il possesso di una casa, il
diritto alla salute e all'istruzione sono, non casualmente, ostacoli
per il disegno anarcoliberista, che prevede la massima libertà di
circolazione per i capitali e per la manodopera. Gli Stati stessi
sono un ostacolo, e devono essere, se non aboliti, almeno
sterilizzati, "cedendo quote di sovranità agli organismi
sovranazionali" (qui cito a memoria un discorso tenuto dallo
stesso Monti), gli organismi sovranazionali sono gli stessi
banchieri. La globalizzazione, l'IMF (Fondo Monetario Internazionale) e il
WTO (World Trade Organization), e da noi, l'UE e l'euro sono gli
strumenti del loro dominio.
Il
mercato libero, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, si autoregola
soltanto imponendo salari più bassi e condizioni di vita peggiori
per tutti. I pochi ricchi diventano sempre più ricchi e i molti
poveri sempre più poveri. Paradossalmente, l'ideologia capitalistica
che sta alla base del liberismo e del Monti-pensiero continua a
piacere anche in molti ambienti "di sinistra". In fondo del
libertarianismo esistono versioni di destra e di sinistra. Liberi di
amarsi, liberi di far soldi. Entrare la domenica sera in un centro
commerciale per acquistare un i-phone con la finanziaria ci fa sentire
più liberi. Ci appaiono lontani e tristi quegli anni in cui i negozi
restavano chiusi la domenica e, per acquistare un gadget tecnologico,
si doveva aspettare di mettere da parte i soldi. Oggi basta pensare
all'oggetto del desiderio ed entrare nel negozio per portarselo a
casa: il trionfo della libertà individuale, per alcuni. Meglio non
pensare che il commesso che ci ha venduto l'oggetto è uno stagista
che lavora 50 ore la settimana per 800 euro al mese. Meglio non
pensare che il commesso la domenica non può andare al mare con la
famiglia, e neppure gli altri giorni: lui è libero il martedì, la
moglie il mercoledì, sempre che non ci siano colleghi malati da
sostituire. Un tempo bastava che lavorasse uno solo in una famiglia,
oggi lavorando in due ce la si fa a stento e soltanto perché c'è la
casa che i nostri genitori ci hanno lasciato in eredità. Fintanto
che si lavora in due, e con la casa di papà, ce la si può anche
fare a comprare cibo scadente al discount col poco che resta dopo
aver pagato le rate della finanziaria. Ma basta un nonnulla, è la
crisi, si viene licenziati, le banche si prendono la casa del povero
papà e... noi saremo più disponibili alla mobilità. Abbiamo
creduto che lavorare in due in una famiglia rendesse le donne più
libere, perché continuiamo a non voler contare le coppie di separati
in casa obbligati ad una difficile convivenza proprio perché non
possono permettersi il lusso di una effettiva separazione? Perché
non vogliamo capire a cosa si è ridotta la nostra convivenza se io
oggi lavoro la mattina e lei la sera e, a stento, riusciamo a
condividere in orari differenti lo stesso schermo televisivo full HD 3D?
Io
sono tra quelli che hanno gioito, povero illuso, quando il trattato
di Maastricht stabilì la libera circolazione dei cittadini
dell'Unione Europea. Lavoravo in Inghilterra, a Bristol e, da un
giorno all'altro, non ho più avuto bisogno di un'assicurazione
sanitaria privata: d'allora in avanti per me avrebbe pagato il
servizio sanitario nazionale, finalmente sarei stato trattato come un
cittadino inglese. Poi è passato del tempo e mi sono accorto che il
servizio sanitario pagava sempre meno, che le liste di attesa si
allungavano, la qualità dell'assistenza peggiorava, i ticket erano sempre
più salati e cresceva il numero di quanti non potevano più
permettersi le cure, in Inghilterra come in Italia.
Ho
sempre avuto in odio il razzismo, sono di quella generazione
cresciuta leggendo il "Diario di Anna Frank" e "Ragazzo
negro". Come avrei potuto credere che qualcosa di infido si
nascondesse dietro l'apertura delle frontiere all'immigrazione?
Venivano dai paesi dell'Africa per lavorare da noi, venivano
dall'Europa orientale per accudire le nostre vecchie madri.
Un'opportunità per loro, come per noi. Ricordavo il racconto di mio
nonno che aveva messo su famiglia con i pochi dollari sudati in una
fabbrica di sigari di Philadelphia. E quando ho visto gli immigrati
accontentarsi di salari sempre più bassi, di condizioni di vita
sempre peggiori, ho pensato di potermi consolare, in fondo mio nonno
doveva accontentarsi di guadagnare meno di uno yankee e anche per lui era
stata dura in America. Poi, quando finalmente ho capito cosa stava
accadendo, i salari erano già bassi per tutti, i diritti non c'erano
più per nessuno.
Globalizzazione,
a me quella parola non è mai piaciuta, legato come sono sempre stato
alla mia insularità. Siciliano e cittadino del mondo. Un tempo mi
piaceva scherzare e dire di essere bilingue: la mia prima lingua era
il siciliano e la seconda l'inglese. Da siciliano e cittadino del
mondo che non capiva perché l'essere italiano avrebbe dovuto
preferirsi all'esser siciliano, non capivo neppure perché essere
europeo avrebbe dovuto costituire un miglioramento. Mi piaceva e mi
piace sempre incontrare gente diversa, confrontarmi con culture
diverse. Ho seduto fumando con il capofamiglia in una capanna di
fango Masai, c'erano due stanze, una per gli uomini ed una per gli
animali. Io parlavo inglese, la mia guida traduceva in swahili e uno
dei figli del mio ospite in Masai, mentre sul focolare
cuoceva una povera zuppa di banane verdi. Se non l'avete provato, non
capirete cosa vuol dire cercare di intendersi a tutti i costi. Ed
alla fine ci riuscimmo, eravamo tutti sorridenti e ci abbracciavamo.
Io credevo che il mondo multietnico e multiculturale cui aspiravamo
in quei maledetti anni Novanta fosse qualcosa come fumare dalla
stessa pipa con il vecchio Masai, sorridere e stringersi la mano.
Purtroppo, invece, la sola cultura unificante che vedo diffondersi è
quella delle serie televisive e dei reality show. Cristiani,
musulmani, buddisti, atei e induisti guardiamo la stessa TV,
compriamo gli stessi smartphone, miracolo del mercato globale. La
comprensione reciproca è arrivata al punto in cui il terrorismo
"islamico" viene ricambiato con i bombardieri europei e
americani. E nessuno che si chieda se l'aver bombardato la Libia del
cattivo Gheddafi abbia qualcosa a che vedere con le imprese del
sedicente Califfato islamico. Noi credevamo di esportare il benessere
nel Terzo Mondo, purtroppo ne abbiamo importato la fame.
Fui felice, nel 1979, di votare per il primo Parlamento europeo. Avevo studiato di un Parlamento in cui erano risuonate le tre magiche parole: libertà, uguaglianza e fraternità, sapevo dalle narrazioni di mio padre come quando c'è una dittatura non si vota e mi aspettavo che quel nuovo parlamento potesse aggiungere altre parole magiche come progresso, diritti, tolleranza e prosperità. Anche se non mi piaceva tanto che fosse un parlamento soltanto europeo, da quando ero bambino sapevo che le elezioni sono sempre una buona cosa. E' il popolo che decide, così mi dicevano. In effetti una bella parola nuova venne fuori, fu Erasmus e permise a tanti giovani come me di viaggiare per studiare, di incontrare coetanei di altri Paesi, di imparare a confrontarsi con sistemi, mentalità diverse. In Inghilterra ammirai la puntualità delle poste e dei treni, il rispetto per il lavoro, per le strade e i prati, quei College belli come cattedrali, amai gli inglesi quando dicevano che grazie alle borse di studio il figlio di un bottegaio era diventato Isaac Newton, quando dicevano che le tasse sui libri e la cultura erano immorali. Al mio ritorno in Italia avrei voluto portare con me un pezzo di quell'Inghilterra adorabilmente moralista nel mio posto di lavoro. Non soltanto questo non fu possibile, ma ritornando in Inghilterra negli anni successivi mi è capitato di vedere lattine abbandonate sui marciapiedi della metro. E intanto l'Europa chiedeva agli inglesi di tassare i libri e agli italiani di distruggere le arance e il latte. Ricordate le arance sotto i cingoli dei trattori? L'Europa chiedeva. Dopo Erasmus nessuna parola magica è venuta dall'Europa e, delle tre parole della Rivoluzione francese, sopravvive oggi soltanto libertà, mentre ci allontaniamo sempre più dalla fratellanza e la distribuzione della ricchezza o il godimento di diritti diventano sempre più ineguali.
Fui felice, nel 1979, di votare per il primo Parlamento europeo. Avevo studiato di un Parlamento in cui erano risuonate le tre magiche parole: libertà, uguaglianza e fraternità, sapevo dalle narrazioni di mio padre come quando c'è una dittatura non si vota e mi aspettavo che quel nuovo parlamento potesse aggiungere altre parole magiche come progresso, diritti, tolleranza e prosperità. Anche se non mi piaceva tanto che fosse un parlamento soltanto europeo, da quando ero bambino sapevo che le elezioni sono sempre una buona cosa. E' il popolo che decide, così mi dicevano. In effetti una bella parola nuova venne fuori, fu Erasmus e permise a tanti giovani come me di viaggiare per studiare, di incontrare coetanei di altri Paesi, di imparare a confrontarsi con sistemi, mentalità diverse. In Inghilterra ammirai la puntualità delle poste e dei treni, il rispetto per il lavoro, per le strade e i prati, quei College belli come cattedrali, amai gli inglesi quando dicevano che grazie alle borse di studio il figlio di un bottegaio era diventato Isaac Newton, quando dicevano che le tasse sui libri e la cultura erano immorali. Al mio ritorno in Italia avrei voluto portare con me un pezzo di quell'Inghilterra adorabilmente moralista nel mio posto di lavoro. Non soltanto questo non fu possibile, ma ritornando in Inghilterra negli anni successivi mi è capitato di vedere lattine abbandonate sui marciapiedi della metro. E intanto l'Europa chiedeva agli inglesi di tassare i libri e agli italiani di distruggere le arance e il latte. Ricordate le arance sotto i cingoli dei trattori? L'Europa chiedeva. Dopo Erasmus nessuna parola magica è venuta dall'Europa e, delle tre parole della Rivoluzione francese, sopravvive oggi soltanto libertà, mentre ci allontaniamo sempre più dalla fratellanza e la distribuzione della ricchezza o il godimento di diritti diventano sempre più ineguali.
Ho
scritto sopra degli anarcocapitalisti, non voglio essere frainteso.
L'anarco-capitalismo è una dottrina politica prima che economica.
Una religione laica fondata sul libero mercato, una versione moderna
dell'homo homini lupus, e sui dogmi accessori dell'alleggerimento
dello Stato e delle privatizzazioni. Non sorprende che persone con
interessi simili si alleino e agiscano più o meno di concerto. I
capitalisti di tutto il mondo preferiscono spostare la produzione dai
paesi d'origine, dove i lavoratori ancora godono di salari e tutele
relativamente elevati, verso il Terzo Mondo dove i lavoratori sono
assai meno pagati e garantiti. E' logico quindi che i capitalisti si
alleino tra loro. Hanno tutto da guadagnare dalla globalizzazione e
dalla distruzione degli stati nazionali, i fatti inequivocabilmente
dicono che si sono impadroniti, con mezzi in gran parte leciti, del
controllo dei centri nevralgici del potere e dell'informazione. Non
c'è alcun bisogno di pensare a "complotti", è sufficiente
attenersi al vecchio metodo materialista per comprenderlo. Non è
altrettanto evidente, invece, perché non riesca a farsi strada
l'idea che ad un nemico così potente e coalizzato si debba opporre
una coalizione sociale più ampia possibile e disposta a dare
battaglia su tutti i temi importanti della globalizzazione. La sola
spiegazione che riesco a darmi è la diffusione tra gli intellettuali di
una vera e propria subalternità culturale rispetto alle varie
declinazioni del tema della libertà.
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