lunedì 18 luglio 2016

Il saggio Averroè e il Califfo di Cordova

Statua di Averroè a Cordoba

[...] e vidi Orfeo,
Tulio e Lino e Seneca morale;
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galieno,
Averoìs, che ’l gran comento feo
[Dante, Inferno, Canto IV]

Per molto tempo i musulmani hanno sostenuto (e sostengono ancora, se non sono analfabeti sulla loro religione) che ogni fedele abbia il diritto di interpretare autonomamente le Scritture, mentre i cattolici tradizionalmente hanno ritenuto che ogni interpretazione spettasse al magistero della chiesa. Soltanto dopo la Riforma, Galileo, Darwin e la Rivoluzione francese, presso i teologi cattolici si è fatta strada l'idea che le Scritture potessero essere interpretate con qualche libertà.


Averroé (XII secolo), grande sufi e giudice supremo di Cordova, rifiutò di comminare ad un bandito la pena di morte, e, sebbene le prove contro di esso fossero soverchianti, lo condannò all'esilio (motivando che la vita è un dono di dio e quindi nessuno, neppure il califfo, ha il diritto di prenderla ad un altro uomo). Averroè rispose negativamente ai due appelli presentati dal procuratore del califfo e, alla fine del processo, il bandito fu accompagnato in esilio dalle guardie dello stesso califfo, Averroè fu licenziato, processato, e, a sua volta, esiliato. L'Islam è stato anche questo, non soltanto libertà di interpretazione delle scritture, ma addirittura separazione dei poteri dello stato e persino dei ruoli di procuratore e giudice!

La storia di Averroè in Cordoba è narrata anche ne "Il destino", splendido film di Youssef Chahine (1997) premiato ai festival di Cannes, di Amiens e del Cairo.

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