giovedì 11 luglio 2013

Naufragio!

La zattera della Medusa (1818),  dipinto di  Théodore Géricault, Museo del Louvre, Parigi.

Nel giugno del 1816, la fregata francese Méduse, già gioiello della marina napoleonica, partì insieme con altre tre navi  alla volta del Senegal. Il comandante, Hugues Duroy de Chaumareys era stato nominato capitano della fregata nonostante la scarsissima esperienza di navigazione: in tempo di Restaurazione contavano infatti soprattutto i quarti di nobiltà. Compito della piccola flotta: riprendere il possesso della colonia del Senegal. Tra i passeggeri della nave era infatti Julien-Désiré Schmaltz, governatore designato della colonia. Disponendo di una delle navi più veloci dell'epoca, il capitano volle abbandonare lo schieramento per giungere primo in Senegal. La sbruffoneria non sempre ripaga e così, il 2 luglio, la Méduse si incagliò su un banco di sabbia, 160 chilometri al largo della Mauritania. Fallito ogni tentativo di disincagliare la nave, a causa dell'inesperienza e dell'incapacità di capitano e governatore, i superstiti tentarono il viaggio verso la costa. Poiché le scialuppe non erano sufficienti, il capitano e gli ufficiali diedero ordine di imbarcare i marinai semplici su una zattera di fortuna che avrebbe dovuto essere trainata dalle scialuppe. Dopo appena pochi chilometri, il cavo di traino venne tranciato e i marinai della zattera abbandonati al proprio destino. Quasi completamente sprovviste di viveri e di acqua, sulla zattera, 20 persone morirono già la prima notte. Al nono giorno i sopravvissuti si diedero al cannibalismo. Il tredicesimo giorno, il 17 luglio, dopo che i più erano morti di fame e di sete o si erano gettati in mare per la disperazione, i pochi superstiti vennero salvati dal battello Argus; per cinque di essi non vi fu nulla da fare, tanto erano stremati, e morirono sulla Argus la notte seguente.
Quando, il 13 settembre, il Journal des débats pubblicò le testimonianze dei sopravvissuti della Méduse, lo scandalo sembrò travolgere la restaurata monarchia francese. Sottoposto alla corte marziale, il comandante riuscì ad evitare la pena di morte: egli fu semplicemente radiato dalla Marina francese e condannato a tre anni di prigione. La vicenda ispirò anche il pittore Théodore Géricault, per il famoso quadro "La zattera della Medusa", oggi conservato al Louvre di Parigi.

La Costa Concordia, incagliatasi in prossimità del'isola del Giglio il 31 gennaio 2012.

Tutti gli ingredienti del naufragio della Méduse, sbruffoneria, codardia e inesperienza tecnica, unite al disprezzo per le vite altrui, si ritrovano nel più recente naufragio della Costa Concordia, avvenuto il 31 gennaio 2012. Anche lì, il capitano Francesco Schettino, fu uno dei primi a trarsi in salvo. La circostanza che il naufragio fosse avvenuto nelle acque in prossimità dell'isola del Giglio evitò, fortunatamente, gli atti di cannibalismo tra i superstiti. Le indagini, tuttora in corso, evidenziano possibili responsabilità degli armatori: i risparmi fatti sulle competenze dell'equipaggio e sulle dotazioni di sicurezza potrebbero essere tra le concause della morte delle 32 vittime.  In altri naufragi celebri, come quello della Titanic avvenuto nell'Oceano Atlantico il 10 aprile 1912, il comandante Edward John Smith diede prova di eroismo e dedizione inabissandosi con la nave dopo aver coordinato i soccorsi, ma anche in quel caso emerse l'insufficienza delle scialuppe di salvataggio. Così ci chiediamo se trarre profitto mettendo a repentaglio la vita altrui sia poi così tanto diverso dal cannibalismo...


Anche il nostro Paese si avvia mestamente verso la catastrofe. E, quel che è peggio, al timone stanno gli stessi responsabili dello sfacelo: la recessione economica è stata infatti fortemente voluta dai partiti, PD, PDL e Scelta Civica, che non si sono alternati ma, piuttosto, hanno condiviso la guida del governo. Tutti gli indicatori economici sono in rosso. Come Beppe Grillo ha dichiarato al presidente Napolitano:
I numeri dello sfacelo sono sotto gli occhi di chiunque voglia vederli, e sono drammatici. Il tasso di disoccupazione più alto dal 1977, il crollo continuo della produzione industriale, che si attesterà a meno tre per cento nel 2013, la continua crescita del debito pubblico che è arrivato a 2.040 miliardi di euro, il fallimento delle imprese che chiudono con il ritmo di una al minuto, una delle tassazioni più alte d’Europa, sia sulle imprese che sulle persone fisiche, gli stipendi tra i più bassi della UE, il crollo dei consumi, persino degli alimentari, l’indebitamento delle famiglie. [...]  Il debito pubblico ci sta divorando, paghiamo di interessi circa 100 miliardi di euro all’anno, che crescono ogni giorno. Solo quest’anno per non fallire dovremo vendere 400 miliardi di euro di titoli. Le entrate dello Stato sono di circa 800 miliardi all’anno, un euro su otto serve a pagare gli interessi sul debito. Né Berlusconi, né Monti, né Letta hanno bloccato la spirale del debito pubblico, che cresce al ritmo di 110 miliardi all’anno. Gli interessi sul debito e la diminuzione delle entrate fiscali, dovute al fallimento di massa delle imprese, alla disoccupazione e al crollo dei consumi, rappresentano la certezza del prossimo default.
E' sufficiente ragionare un attimo soltanto per capire come le cose stiano effettivamente così. Cosa farebbero, infatti, un saggio contadino o un esperto artigiano, se si trovassero in difficoltà, pieni di debiti? Rimboccherebbero le maniche per lavorare di più, per produrre di più. E mai e poi mai rinuncerebbero ad acquistare le sementi necessarie per l'anno prossimo o gli strumenti di lavoro. I contadini e gli rtigiani sanno infatti che questo genere di tagli ucciderebbe le proprie imprese. La politica di Monti, Letta e Berlusconi è sempre la stessa: tagli e tagli. Così infatti ha deciso l'Unione Europea (UE), la Banca Centrale Europea (BCE) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la triste trojka che nei fatti ci governa. Più si taglia, più aumenta la disoccupazione, più imprese chiudono. E' semplicemente questo quanto sta succedendo. E, poiché i disoccupati non pagano tasse, più disoccupati significa minori risorse per pagare il debito pubblico. Il debito quindi cresce, fuori da ogni controllo, alimentato dagli interessi passivi ed ha ormai superato l'incredibile soglia dei 2000 miliardi. E' possibile uscire da questa spirale? E se è possibile, chi e come ci può portare fuori? A queste due domande cercheremo di rispondere con questo post.
In primo luogo, è sempre possibile l'uscita dalla crisi. L'Italia del 1945 era stata distrutta da una terribile guerra persa e tuttavia si risollevò. Come fu possibile? Lavorando!  la prima parte della risposta è semplice: la ricchezza è il lavoro, non il denaro. Il denaro deve essere usato, dando impulso all'industria ed all'agricoltura, indebitandosi per finanziarne la ricrescita. La risposta oggi è investire in attività produttive: agricoltura, industria, artigianato, istruzione, ricerca, università, sanità. Bisogna finanziare proprio quello che oggi si taglia! Dove si trovano i soldi? Si prendono a prestito, se si vuole rimanere nell'euro, altrimenti si esce dall'euro e si stampano! L'Italia del dopoguerra ha fatto proprio questo: ha stampato denaro. Qui i finti tecnici - sono tanti i tecnici ignoranti, forse anche di più di quelli in malafede - diranno che stampando moneta si genera inflazione (e qui hanno ragione), e che l'inflazione la pagano i ceti sociali più deboli. Senza entrare nei dettagli, ricordiamo che questo non è avvenuto nell'Italia del dopoguerra  per la semplice ragione che esistono contromisure efficaci. La prova? Chiedete ai vostri genitori o ai vostri nonni di quanto è cresciuto il tenore di vita degli italiani, inclusi i meno abbienti, negli anni '50 e '60 del  XX secolo! Bisogna fare però attenzione a non finanziare indiscriminatamente. Tanti finanziamenti in passato, sono finiti nelle mani di speculatori senza scrupoli o addirittura di mafiosi. Si deve, al contrario, finanziare esclusivamente il lavoro produttivo, cioè quello che incrementa la ricchezza della società. Alcuni tagli, poi, e qui entriamo nella seconda parte della risposta, sono possibili, anzi necessari. Possiamo e dobbiamo tagliare i redditi parassitari, quelli dei politici, ma anche quelli dei manager pubblici e privati, dei pensionati di lusso (oltre i 5 mila euro al mese). Dobbiamo e possiamo nazionalizzare quelle aziende e quelle banche che oggi vengono finanziate dallo stato o dagli enti pubblici senza alcuna garanzia. Qui sto parlando di casi come quello del Monte de' Paschi, ma potrei parlare anche di FIAT o di Mediaset. In questa maniera, con simili mirati tagli, otterremo il vantaggio aggiuntivo di liberare il paese da quel coacervo di interessi che ha corrotto la vita politica e si è impadronita dei partiti alimentandoli con mille tangenti.
Enrico Letta (PD) sulle spalle di zio Gianni (PDL).

Chi ci può portare fuori? E' del tutto evidente che non possono essere quelli che ci hanno portato a questo punto: PD, PDL e scelta civica fanno soltanto gli interessi della casta. Nei momenti di crisi grave, come questo, nascono movimenti di opinione che crescono e raggiungono la maturità politica: siamo noi stessi i capitani che possono guidare la nave Italia fuori dalla crisi, farla rinascere più forte e più bella. L'ultima mano della partita è già iniziata. Chiediamo le dimissioni dei responsabili della crisi e nuove elezioni.

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